Le competenze comunicative e relazionali e il loro miglioramento nella U.O. di Riabilitazione Cardiologica
L’investimento nelle nuove tecnologie sanitarie, nella formazione del personale e nella riqualificazione costante degli ambienti incontra (e fa incontrare) un’attenzione sia verso la dimensione medico-scientifica della clinica, sia verso l’aspetto relazionale e situazionale che essa implica. In tale prospettiva, il contesto della cura riunisce gli elementi ambientali a quelli professionali, mostrando sin dall’inizio che saper ri-orientare la persona nel suo confronto con la sofferenza provocata dalla malattia e costituisce il presupposto per trarne il maggior beneficio possibile.
Il progetto che qui è raccontato brevemente si basa dunque sulla convinzione che, senza un’adeguata promozione dell’“arte” della cura, e dunque anche della “bellezza” intesa come tensione artistica alla sensibilità del cittadino e alle percezioni sensoriali positive che scaturiscono dal contesto, non si può promuovere una cura globale della persona.
In estrema sintesi, è ovvio che la cura del malato deve trovare giovamento dal sapere scientifico; ma questo da solo non è a nostro avviso sufficiente. È infatti necessario che tale sapere sappia tradursi in una pratica clinica capace di includere opportunità adeguate sul piano delle innovazioni tecnologiche, su quello delle relazioni con le persone e con l’ambiente in cui le diverse professionalità operano.
La pratica clinica va considerata come un insieme coerente che integra saperi diversi, dalla cui combinazione dipende la capacità di adottare lo “stile” adatto alle esigenze del singolo con quello idoneo a esprimere nella pratica cinica il più aggiornato sapere scientifico.
Nella prospettiva del presente progetto ciò che qui abbiamo chiamato stile si declina su tre diverse dimensioni:
- la competenza specifica dei professionisti che si occupano della cura
- la gestione del tempo della cura
- la valorizzazione dello spazio nel quale si cura
Comunicare lo stile significa esprimere elegante sobrietà e al tempo stesso attenzione a cornici simboliche di riconoscimento rituale; la rappresentazione estetica degli spazi e l’attenzione per la qualità del tempo possono tradurre le regole tecnico-procedurali in situazioni in cui i rispettivi ruoli di medico, infermiere, fisioterapisti, e malato mettono in primo piano la relazione e la cura della globalità della persona, più che di un mero frammento supposto isolabile della malattia.
Così si cerca di restituire ai vincoli procedurali di una fredda scienza medica, idonea specificità e dimensione intersoggettiva, la sola, del resto, che meglio permetterà anche al sapere tecnico di individuare la soluzione più corretta: emozione, sentimento, percezione sensoriale della materialità di oggetti e luoghi, invece di essere rimossi quasi fossero elementi superflui rispetto alla supposta superiorità della razionalità strumentale, possono essere metabolizzati in termini razionali e resi riconoscibili come aspetti ineliminabili che concorrono alla capacità di diagnosi e trattamento.
In altre parole, tutt’altro che contrapposti, ragione e sentimento, se integrati all’interno di un’adeguata cornice intersoggettiva, permettono di costruire la base fiduciaria indispensabile nella pratica clinica.
L’insieme dei fattori sopra indicati parla la lingua degli umani, sempre alla ricerca di un significato per la loro esperienza, qui-e-ora: costruire uno spazio simbolico condiviso tra chi partecipa all’esperienza è il presupposto del riconoscimento e della fiducia di essere nel posto giusto per la soluzione migliore; in estrema sintesi è questa impostazione che inquadra la nostra idea di umanizzazione della cura.
Il progetto ambisce in primo luogo a pervenire ad una formulazione per alcuni versi innovativa di ciò che si intende con il temine umanizzazione della cura. Mettere al centro il paziente è solo parte del problema: umanizzare la pratica medica significa anche saper riconoscere la centralità della relazione e della situazione complessiva in cui gli interlocutori riconoscono reciprocamente i rispettivi ruoli di curante e assistito, talora persino comprendendo quando è opportuno assumere temporaneamente e consensualmente funzioni tipiche dell’uno e dell’altro.
Il progetto si sviluppa seguendo dunque un percorso che parte da una vision globale in grado di trovare e apprendere i modi adeguati a riconoscere le specificità necessarie, individuando indicatori verificabili nelle aree scelte che qualificano la qualità dell’assistenza. Il cardine del progetto pone le relazioni e non solo la malattia al centro dell’intervento di cura, per consentire una strategia terapeutica fondata su una visione complessiva della interazione tra Struttura/Professionisti/Utenti. L’approccio scelto, coerentemente con quanto detto, propone una valutazione ampia di aspetti che, in un’ipotesi di lavoro ad ampio raggio, prevede di declinarsi nelle seguenti dimensioni:
- Progresso nelle tecnologie mediche nella prospettiva di rendere le tecnologie stesse coerenti con i bisogni della persona e non solo dell’organo malato
- Diritto alla salute e sostenibilità delle terapie
- Applicazione del modello clinico bio-psico-sociale
- Comunicazione efficace professionisti-pazienti-care giver
- Promozione del patient empowerment
- Valutazione partecipata dell’”umanizzazione”
Obiettivo della ricerca e metodologia
Per quanto riguarda il presente progetto si è inteso pervenire all’identificazione di una selezione degli aspetti prima ricordati. In particolare la dimensione dell’umanizzazione vuole qui studiare, applicando un modello di studio partecipativo a valenza qualitativa, lavorando nell’ambito del tema della comunicazione efficace, e basandosi su elementi di natura bio-psico-sociale, come realizzare, con metodo condiviso, un protocollo condiviso, idoneo per la gestione della relazione di cura che sappia sfruttare al meglio le opportunità offerte dalle risorse disponibili.
L’area di applicazione dello studio è stata quella dedicata alla riabilitazione cardiologica, selezionata in quanto include un tempo medio-lungo di cura, professionalità diverse, pazienti e familiari coinvolti in un processo in cui risulta evidente l’esigenza di empowerment fiduciario nella ripresa della vita quotidiana, dopo eventi patologici importanti che hanno richiesto spesso interventi invasivi complessi a forte impatto psico-fisico.
Il protocollo è il risultato di uno studio effettuato presso l’Unità Operativa di Riabilitazione Cardiologica della Casa di Cura Villa Serena di Città S. Angelo (Pescara), nel periodo giugno-dicembre 2021, che ha coinvolto nell’insieme i 31 operatori che, ricoprendo diversi ruoli (medici, coordinatori sanitari e della riabilitazione, infermieri professionali e personale addetto all’assistenza, fisioterapisti), lavorano in quella Unità Operativa . Lo studio ha seguito i principi della “grounded theory” (Schwartz e Jacobs 1987) ) , unendo metodi di psico-sociologia qualitativa ad una successiva rilevazione mediante questionario strutturato. L’ipotesi di lavoro parte infatti dal presupposto che nelle relazioni umane, e in particolare in quelle che coinvolgono la cura per ottenere modelli o tipologie ideali d’interazione che funzionino in maniera efficace, occorre in primo luogo rilevarli e integrarli nelle situazioni di esperienza vissuta. La “teoria” nasce dunque dal terreno d’indagine e può essere approfondita mediante un insieme di tecniche utilizzate in vari ambiti disciplinari che consentono di rilevare una “thick description” (Geertz 1998), una descrizione densa dei dettagli rilevanti per gli attori presenti nel contesto oggetto di studio, permettendo poi di costruire su tale base anche strumenti di rilevazione quantitativa ad esso adeguati, in maniera da arricchire il quadro delle informazioni integrando quelle derivate da modelli statistici con quelle ricavate da una conoscenza scientificamente fondata capace di entrare nelle profondità dei problemi.
Il principio di base che guida la metodologia qualitativa è quello di descrivere o prevedere qualcosa in relazione non tanto a dati estratti da grandi numeri, quanto allo sviluppo di conoscenze indagando in modo molto approfondito su singoli aspetti, su casi ed eventi specifici, cercando di ottenere quante più possibili informazioni in merito, considerando anche dimensioni che non potrebbero essere valutate con tecniche quantitative, come per esempio il linguaggio non verbale, l’emotività, la prossemica, le storie di vita.
La metodologia dello studio, preliminare alla elaborazione del protocollo, si è basata sulle principali strategie qualitative, utilizzando le seguenti tecniche/strumenti:
- interviste semi strutturate che hanno coinvolto 20 familiari e pazienti ricoverati, 26 professionisti operanti nella Unità operativa
- interviste mediante questionario autosomministrato e di autovalutazione. Tali interviste sono state effettuate in due diverse fasi a distanza di circa un mese e hanno interessato i professionisti della Unità Operativa. Tali interviste sono state precedute da un diario di auto-osservazione quindicinale, compilato durante 7 turni di lavoro da 11 professionisti della Unità Operativa
- Focus group, brain-storming e role-playing che hanno coinvolto complessivamente 12 professionisti della Unità Operativa
Può essere utile ricordare che l’intervista è uno degli strumenti più importanti del metodo qualitativo. L’intervistatore segue una traccia di domande predefinita rispetto al tema della ricerca relativa all’umanizzazione, e quindi finalizzata al protocollo, permettendo all’intervistato di muoversi in modo libero rispetto al tema. In questo modo l’intervistatore può e deve considerare anche il linguaggio non verbale, l’emotività, la prossemica, oltre alle storie e alle idee che emergono dall’incontro.
I Focus group aggiungono inoltre la ricchezza della discussione che emerge, su stimolo del conduttore, da parte dei partecipanti. Nel nostro caso, i focus groups hanno proposto come argomento di discussione quello relativo alle relazioni professionali e al rapporto con i pazienti e i familiari nell’ambito della Unità Operativa in particolare, anche se sono state consentiti riferimenti anche alla Struttura Ospedaliera in generale. L’obiettivo era duplice: a) autovalutazione aperta delle caratteristiche in atto e delle possibili modifiche nel proprio lavoro; b) individuazione e definizione dei problemi in ottica di problem solving. I Focus sono stati condotti da un moderatore coadiuvato da un osservatore con la partecipazione da 5 a 7 professionisti della Unità Operativa. La discussione è stata sintetizzata su supporto cartaceo, dopo il consenso di tutti i partecipanti, il materiale al termine della ricerca, è stato distrutto.
Entrando nel dettaglio dell’approccio metodologico è opportuno precisare anche che il progetto ha proposto una metodologia partecipativa, sulla base della disponibilità personale, che ha richiesto il coinvolgimento e l’adesione del personale addetto all’Unità Operativa, come anche di alcuni pazienti e loro familiari, naturalmente su base volontaria per libera opzione. L’attenzione alla dimensione intersoggettiva della relazione di cura ha richiesto competenze acquisibili sulla base delle pratiche di cura e di quello che si definisce nei termini di un “design thinking” collettivo.
Come ricordato, quattro sono gli strumenti principali: auto-osservazione/autovalutazione di tipo qualitativo; brain-storming con role-playing; questionario di verifica per l’auto-osservazione; questionario semi-strutturato per pazienti e familiari.
La ricerca si è basata su un programma operativo sviluppato, salvo particolari difficoltà organizzative che avrebbero potuto rischiare di compromettere l’ordinaria attività assistenziale, in 7 fasi complessive che hanno incluso tra gli altri, un monitoraggio qualitativo di auto-osservazione preliminare; l’elaborazione di una griglia e di un questionario semi-strutturato per pazienti e familiari non auto-somministrato (quindi somministrato da persona esterna all’Unità Operativa); l’elaborazione dei risultati del questionario con la restituzione dei risultati ai gruppi di operatori, con proposta di protocollo sperimentale; la condivisione e l’eventuale correzione del protocollo effettuata in gruppo, la sperimentazione dello stesso almeno per 3 settimane e, infine, la verifica finale in gruppo con il perfezionamento del protocollo e sua applicazione.
Risultati della ricerca e elementi del protocollo
In sintesi si riportano i risultati conseguiti:
- Sono stati individuati gli indicatori ritenuti cardine relativi a: competenza specifica dei professionisti; dimensione del tempo; caratteristiche di spazio/luogo, itinerario di presa in carico del paziente dall’accesso all’Unità Operativa fino alla dimissione.
- Tutti gli aspetti sono stati dettagliati e resi coerenti al contesto di cura selezionato.
- Sono stati evidenziati indicatori di qualità finalizzati alla predisposizione di un protocollo di sintesi finalizzato a rendere coerente l’esperienza del paziente e degli accompagnatori con la ridefinita “umanizzazione”
- Sono state evidenziate aree per le quali può essere opportuno individuare percorsi di formazione per il personale interessato
A seguito dell’attività di ricerca, incrociando i dati emersi dagli strumenti di valutazione anche al fine di promuovere un ulteriore miglioramento nelle competenze relazionale e comunicative, si è arrivati a proporre un protocollo operativo.
Il protocollo è prioritariamente orientato a favorire ricadute positive sugli aspetti di umanizzazione nei confronti dei pazienti e loro dei familiari, da parte dei professionisti che operano nell’unità operativa.
Quindi il protocollo proposto vuol essere uno strumento di lavoro che favorisce una migliore “sensibilità” dei professionisti della riabilitazione rispetto ai problemi comunicativi e pratici dei pazienti, ma in grado anche di risultare utile per stimolare i professionisti a valutare se stessi e il proprio gruppo di lavoro, nel miglioramento del proprio stile comunicativo e relazionale.
Di seguito si riportano alcuni punti del protocollo realizzato. Ricordiamo che il protocollo ha inteso mettere al centro il paziente nella prospettiva della umanizzazione delle cure: umanizzare significa, a nostro avviso, saper riconoscere la centralità della relazione e della situazione complessiva in cui gli interlocutori riconoscono reciprocamente i rispettivi ruoli di curante e assistito.
Il protocollo deve essere inteso come un documento dinamico. Mediante la pratica clinica e assistenziale e gli aggiornamenti degli studi nel settore dell’umanizzazione delle cure il protocollo sarà verificato periodicamente e opportunamente aggiornato.
Il protocollo è suddiviso in quattro aree tematiche ed è impostato con la finalità di indicare il modo in cui è opportuno modulare il comportamento dei professionisti nel contesto di cura.
La prima area è quella della “comunicazione efficace” e individua alcuni aspetti dello stile comunicativo. Ad esempio i professionisti:
- si presentano con nome, cognome, qualifica e comunicano l’équipe di appartenenza
- fondano la comunicazione sui principi dell’empatia
- danno preferibilmente del lei a meno che motivate condizioni relazionali (età del paziente, livello culturale, ecc..) indichino chiaramente il “tu” come modalità comunicativa
- evitano di chiacchierare intorno alle condizioni del paziente al di fuori dell’ambito strettamente professionale
- chiamano i pazienti utilizzando il termine (tra nome e cognome) più empatico e idoneo alla relazione, anche tenendo conto dei tempi del suo sviluppo nel corso del ricovero, eventualmente considerando anche la possibilità di impiegare parole come “signore” e “signora”
- evitano l’uso del cellulare mentre si sta parlando con il paziente se non per urgenze e, in questo caso, si scusano
La seconda area è quella della “accoglienza del comfort e della dimissione”. Ad esempio i professionisti:
- verificano che l’ambiente sia pulito, ordinato e confortevole
- garantiscono le informazioni necessarie per consentire al paziente e ai relativi familiari che fanno il primo ingresso nell’unità operativa di ricevere tutte le notizie utili per la vita nella struttura e per le cure che verranno erogate, rendendosi disponibili a rispondere ad eventuali domande di chiarimento.
- consegnano la carta del servizio o brochure con i contatti dell’U.O.
- si impegnano a sostenere il paziente nella gestione dei suoi beni personali con l’obiettivo di ridurre/eliminare perdite, smarrimenti e sottrazioni.
La terza area è quella delle “informazioni a pazienti e familiari e dello stile relazionale”. Ad esempio i professionisti:
- dedicano un tempo sufficiente ai colloqui informativi (standard minimo stimato maggiore o uguale a 5 minuti, almeno nel primo colloquio e alla dimissione)
- forniscono le informazioni, le comunicazioni, le prescrizioni in modo chiaro e con uno stile relazionale fondato sulla cordialità e il rispetto
- Si accertano che il paziente abbia capito bene informazioni importanti e/o complesse
- usano un linguaggio semplice tenendo conto delle competenze culturali e linguistiche dell’interlocutore
- evitano di rivolgere al paziente o ai suoi familiari rassicurazioni generiche premature eccessive o infondate, o viceversa allarmi ingiustificati, anche attraverso formule linguistiche ambigue, incerte, vaghe, fatte salve, naturalmente, situazioni eccezionali per la loro specificità
- spiegano al paziente in cosa consiste l’intervento riabilitativo e i possibili obiettivi da raggiungere; dando loro la possibilità di porre domande ma ricordano che è preferibile dosare le informazioni, nel caso rimandando l’interlocutore a colloqui di approfondimento successivi.
- verificano che il paziente e/o i familiari abbiano informazioni corrette sulla patologia e abbiano informazioni realistiche sul trattamento e sugli obiettivi raggiungibili
La quarta area è quella della “cooperazione nel lavoro di équipe”. Ad esempio i professionisti:
- partecipano alle riunioni di équipe
- facilitano la discussione relativa alle criticità operative con spirito costruttivo
- propongono incontri supplementari motivati, per discutere sviluppi inattesi nel decorso (comprese le condizioni psicologiche del paziente) o nella risposta alle cure riabilitative
- analizzano, segnalano, valutano, eventuali errori o carenze osservate all’interno dell’equipe, evitando un atteggiamento pregiudiziale, per proporre interventi migliorativi
- propongono temi utili allo sviluppo professionale e alla formazione dell’équipe
Il protocollo è stato verificato durante tre settimane lavorative, mediante un questionario ad hoc somministrato a tutti i professionisti dell’équipe ed è stato ufficializzato a partire dal mese di gennaio 2023. Nei mesi successivi sono stati effettuati dei momenti strutturati di verifica dell’applicazione del protocollo e a sei mesi è stato organizzato un focus group dedicato all’utilizzo del questionario e ai primi risultati. In sintesi si è potuto osservare un buon utilizzo del protocollo da parte dei professionisti che lo hanno ritenuto uno strumento operativo utile per una pratica assistenziale orientata all’umanizzazione delle cure.
Riferimenti Bibliografici
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